Anima è un termine talmente vasto che cambia la sua connotazione a seconda della prospettiva che si assume, sia questa psicologica, religiosa, spirituale, esoterica o semplicemente poetica.
Forse sarebbe bene che io delimitassi il concetto, dal momento che è talmente centrale nel mio lavoro.
Già, perché devo sempre usarlo? Perché dovevo chiamare la mia pratica artistica soul art e la mia scrittura soul writing? Sento il bisogno di usare la parola anima tutto il tempo. Voglio difenderla, voglio che la si usi, voglio che si parli d’anima sempre di più.
Ricordo di aver letto alcuni anni fa di un’insegnante di scrittura creativa che sconsigliava vivamente di usare questo termine parlando della propria poesia. Credo volesse dire che la parola era diventata svalutante e relegava la poesia in questione al livello del rigurgito emozionale con risvolti vagamente narcisti, come se si volesse dire qualcosa di kitsch come: La mia poesia sgorga direttamente dall’anima.
Certo, neanch’io userei una frase simile, soprattutto perché l’anima per me non è acquatica e non è sinonimo di sentimento.
La mia definizione di anima è ovviamente soggettiva e non voglio pretendere che chi usa il termine con un altro significato si inganni. Quello che mi interessa è che si ricominci a riflettere sull’anima, si ritorni a parlarne, a dare spazio all’idea che prima di essere un io, noi siamo un’anima.
In questo senso, parlando di anima, si incontrano vari pericoli. Uno è il romanticismo, dove l’anima è solo afflato poetico che si consuma in infiniti crepuscoli, lune magnetiche, notti nelle quali alla natura crescono le ali e i poeti si specchiano nelle acque del sogno…
Ma questa per me non è l’anima, queste sono atmosfere che si ascrivono all’archetipo lunare e, qualche volta, anche a Nettuno.
L’altro pericolo è il fissarsi su una teoria esoterica ben precisa, che impone all’anima un’identità rigida, ne descrive dettagliatamente la natura e magari la condanna al peso di un karma minuziosamente quantificato.
Molti credono che l’anima possa salvarsi o dannarsi o frammentarsi e perdere parti di sé, che poi vanno faticosamente recuperate. I soul retrievals sciamanici sono veramente il recupero di frammaneti d’anima o il non si tratta piuttosto di energia vitale o scintille di coscienza perdute o prigioniere? Ma questo dipende di nuovo dalla nostra definizione di anima.
Per alcuni l’anima non è altro che una metafora per il femminile interiore o l’insieme dei corpi sottili o un’energia che risiede in un determinato centro energetico all’interno o al di fuori dal corpo.
Per alcuni l’anima eterna vive l’esistenza come un esilio, per altri anela solo ad incarnarsi perché ama tutto della vita, anche quello che l’io teme.
E poi è una o sono molte, infinite? È individuale o è parte di un gruppo o di un’unità universale, di cui lei è una sorta di ologramma? E poi perché dire lei?
Molte tradizioni spirituali contrappongono anima e spirito. L’anima è femminile e corruttibile, mentre lo spirito è maschile e puro. L’anima cambia costantemente forma, mentre lo spirito non ne ha nessuna. Ma anima e spirito sono anche amanti che aspirano a ricongiungersi, come spesso dice la poesia mistica.
In alcune tradizioni ogni individuo ha una pluralità di anime, che corrispondono alle diverse dimensioni. Nella Cabala le anime sono quattro, come i mondi della creazione.
C’è chi associa l’anima agli elementi, all’aria o all’acqua, mentre lo spirito sarebbe affine al fuoco. C’è invece chi afferma con assoluta certezza che l’anima, in quanto ispiratrice, non può che essere fuoco.
Tutto questo proliferare di immagini e ipotesi intorno all’anima è esasperante e delizioso. Ma forse, ogni volta che cerchiamo di definirla, la mutiliamo e la facciamo ammutolire.
Crediamo di immaginare l’anima. Ma c’è ragione di credere che sia lei a immaginare noi.
Secondo me la trappola più insidiosa è confondere l’anima con la psiche.
Etimologicamente i due termini sembrano corrispondere. Uno è di origine latina, l’altro greca. Entrambi hanno un significato affine al vento, all’atto di respirare o infondere un fiato che è vita. Per questo vediamo la morte come il momento in cui l’anima si separa dal corpo. Con l’ultimo respiro si estingue la vita animata.
Ma la psiche per noi è ormai diventata un campo preso in ostaggio dalla psicologia. È diventata “il complesso delle funzioni e dei processi che danno all’individuo esperienza di sé e del mondo, traducendosi in rappresentazioni, bisogni, desideri e atti volitivi”. (Enciclopedia Teccani online)
La psiche è questo intricato tessuto, ma l’anima potrebbe essere la tessitrice.
L’anima dice io? Penso di no. Chi dice io è solo l’io, che ha bisogno di separarsi e definirsi, perché l’io è una funzione, uno strumento per orientarsi nella realtà come la percepiscono i sensi e come la intende un’umanità che vive una vita incentrata sull’individuo, che, a ben guardare, è un’astrazione come tante altre.
Noi viviamo in corpi che hanno confini materiali (la pelle), ma sul piano energetico non siamo veramente separati, siamo parte di un mare di correnti che passano incessantemente dall’uno all’altro, indipendentemente dalla distanza.
Di queste correnti, se non siamo allenati, non percepiamo quasi nulla. Eppure sono la trama delle nostre esistenze.
Noi siamo partecipi della coscienza quanto lo siamo dell’inconscio, ma non li abbiamo, non sono nostri.
Siamo esseri che prendono forma in una dimensione alquanto bizzarra, la cui origine e finalità non risultano all’io mai troppo chiare, il che, pensandoci bene, è piuttosto incredibile. Come è possibile vivere senza sapere perché?
Non c’è da stupirsi che per millenni abbiamo tessuto ipotesi in forma di miti, religioni e filosofie. Abbiamo inventato così tante risposte, che ormai sembra che ci siamo stancati e ora molti venerano le domande e delle risposte si curano poco.
Abbiamo tutti paura che le risposte ci precludano delle possibilità; non vogliamo che diventino una battuta d’arresto. Ma non è mai così. Le risposte che possiamo trovare sono sempre molto approssimative e tengono aperta la possibilità di ulteriori scoperte. Ma possiamo procedere solo per risposte successive, non se restiamo fermi alle domande.
Certo, con le domande sbagliate non otteniamo mai risposte soddisfacenti. Forse è questo il nostro problema… Oppure il problema è che manipoliamo le risposte e le trasformiamo in monumenti, in monoliti, la cui pesantezza finisce col gravare sulle nostre deboli spalle. Inoltre, ci ribelliamo giustamente alle risposte che altri hanno trovato per noi e che non ci appartengono.
Ma a volte siamo troppo timidi e prevenuti per capire quelle risposte che in realtà conosciamo già e che continuiamo a fingere di dimenticare.
Ma non divaghiamo… Tutto questo era solo per dire che credo che ognuno di noi abbia dentro di sé le risposte e che sia proprio l’anima a suggerirle.
Allora cos’è l’anima?
Se ora dicessi: non lo so con certezza, sarebbe un po’ facile. Allora cosa mi immagino di sapere?
Le intuizioni spesso arrivano quando si prescinde da quello che si ha appreso e quando ci si è stancati di rimasticare le solite cose.
Per un certo periodo ho studiato gli scritti di James Hillman, che, a modo suo, ha dimostrato una grande dedizione nei confronti dell’anima. Ma col tempo mi sono accorta che, in fondo, la sua visione perpetua l’eterna dualità tra anima e spirito e, forse, è inquinata dal suo rapporto conflittuale con quest’ultimo.
Eppure ha dato dell’anima una bellissima definizione. L’ha chiamata “Quella componente sconosciuta che rende possibile il significato, che trasforma gli eventi in esperienze, che viene comunicata nell’amore e che ha un’ansia religiosa.” Concordo pienamente, anche se aggiungerei che l’anima è amore e saggezza e la sua ansia religiosa è già appagata, mentre è la psiche che anela ancora (e spesso invano).
È lui che ha coniato il termine fare anima (lo ha preso da una poesia di Keats). È un termine che mi piace moltissimo, ma lo uso in un modo non totalmente ortodosso rispetto alle intenzioni di Hillman.
Per me fare anima è qualcosa che parte da un’intenzione dell’io, che decide di collaborare consapevolmente con l’anima. Si mette in ascolto dell’anima, la interroga, cerca di scoprire la sua natura e le sue intenzioni, usa l’immaginazione, il pensiero, le sensazioni e le emozioni come strumenti ma anche come oggetti d’indagine e cerca di vedere le cose non dal proprio punto di vista ma da quello dell’anima.
Per me l’anima non è una dimensione o una prospettiva, è un’istanza e somiglia a quello che in alcune correnti esoteriche è chiamato il sé superiore.
L’anima è depositaria ed espressione di amore e saggezza. Conosce il piano della mia vita, ne è forse l’autrice. Questo piano è visibile nel cielo natale, quindi l’astrologia è, come tutti i linguaggi simbolici ed energetici, una delle lingue dell’anima.
Naturalmente il piano non appare mai in forma concreta e univoca. Nel cielo natale si vedono solo forze con terminate qualità che interagiscono tra loro. Sono le stesse forze delle quali è composta tutta la creazione. Ogni manifestazione è espressione della combinazione di alcune di queste forze, come già lo aveva intuito la tradizione ermetica.
Ma il piano e lo scopo li dobbiamo scoprire o inventare? C’è una tensione tra queste due prospettive, ci muoviamo costantemente dall’una all’altra. A volte sembra che il piano sia stabilito, a volte sembra che si possa creare il nuovo in ogni attimo. L’io si muove in continuazione tra dovere, potere e volere e dubita, si impone doveri, non sa quanto può e a volte nemmeno cosa vuole.
Nell’anima c’è chiarezza ma per l’io questa chiarezza è incomprensibile o inaccettabile, perché è paradossale.
La nostra libertà è proporzionale alla nostra consapevolezza e alla nostra capacità di vedere la realtà da una prospettiva più ampia.
In ogni momento l’espressione concreta del piano della nostra vita può cambiare. Ma non possiamo prescindere dalla sua esistenza o abolirlo. Possiamo solo collaborare in modo cosciente e creativo con qualcosa che non possiamo conoscere nella sua interezza.
Quando si parla di libertà e di destino, ci si muove nello spazio tra Urano e Saturno. Comprendere come si comportano questi due archetipi nel nostro cielo è dunque cruciale.
Ma l’anima non è né saturnina né uraniana, appartiene ad una dimensione che li trascende entrambi.
L’anima sembra essere un’emanazione temporanea dello spirito. È in mezzo tra l’io e lo spirito e tutto passa attraverso di lei.
Mentre lo spirito è universale, l’anima sembra avere delle qualità uniche. Per questo ci sembra che le anime siano tutte diverse, ma probabilmente sono tutte una sola grande anima.
Eppure la nostra anima ci appare inconfondibile e il nostro viaggio qualcosa di originale e irripetibile. perché ogni vita è un contributo unico al tessuto composto da tutte le vite.
L’anima contiene in sé la summa di molte vite? Credo di sì. È depositaria di qualcosa che appartiene sia al passato che al futuro.
Ma non mi sembra che l’anima evolva o che si possa perdere o frammentarsi. È la psiche che si frammenta costantemente, che si attacca agli eventi passati e si protende verso futuri possibili. L’anima invece osserva il tempo lineare ma è oltre i confini del tempo. Non è in divenire, è quello di lei che sono io che diviene.
La psiche si compromette in infiniti modi, ma non si perde mai definitivamente. In questo universo perdersi è impossibile. Perdersi è solo una dolorosa illusione che dura un certo tempo.
Si può dire che quello che dell’anima si incarna diventa la psiche? Può darsi, oppure la psiche è una sorta di doppio dell’anima, forse la sua ombra…
Mi pare ci sia una parte dell’anima che non si incarna mai. In passato non capivo e mi sembrava fosse un problema, poi mi è parso di capire che deve essere così: solo una piccola parte di noi si incarna, il resto vive in altre dimensioni.
Eppure L’anima non incarnata è sempre vicina, onnipresente e piena di premure per la psiche che vive questa vita, in condizioni di relativa cecità, sottoposta a condizionamenti che l’alienano dalla sua vera natura e spesso incapace di cogliere l’ispirazione che le proviene dall’anima.
Spesso confondiamo l’anima con la luna o con qualche altro archetipo del nostro cielo, e, dato che non sappiamo come funzionano, ci fidiamo di loro anche quando ci ingannano. O non ci fidiamo mai e crediamo solo alla piccola ragionevolezza dell’io, così finiamo col non aprirci mai alle cose che ci trascendono.
Ma cosa vuole l’anima? Che questa dimensione evolva, suppongo… Che questo mondo apparentemente materiale diventi maggiormente consapevole della realtà che risiede oltre le apparenze. Per questo ci incarniamo, non è l’anima che deve evolvere, è l’inconscio collettivo e, di conseguenza, le condizioni di vita in questa dimensione.
Mi disturba un po’ chiamare l’anima lei, perché l’anima non mi sembra dimori in una dimensione di polarità. E poi, se vogliamo mantenere la separazione virtuale tra anima e spirito, si finirà col chiamare spirito lui, cosa molto lontana dal vero.
La coscienza non è certo maschile, come l’inconscio non è femminile.
E poi l’anima non ha nulla a che vedere con l’inconscio, a meno che non si definisca come inconscio tutto quello di cui l’io diurno di solito non si accorge. Allora sia l’anima che lo spirito saranno nell’inconscio.
In termini pratici, so solo che c’è una grande differenza tra il lavorare con l’anima e il lavorare con l’inconscio. Se riusciamo a collaborare con l’anima, il lavoro con l’inconscio porterà risultati decisamente migliori.
Ecco, queste sono alcune delle cose che posso dire al momento sull’anima.
Non sono nulla di particolarmente originale, molti hanno già detto cose simili.
Ma non le ho prese a prestito da nessuno, procedono tutte dal mio sentire.
Col tempo ho capito che ci sono infinite fonti di ispirazione che appartengono ai campi più disparati, dalla psicologia alla filosofia, dall’esoterismo alla religione o alla scienza, ma alla fine conta veramente solo quello che scopriamo da soli, con i pochi mezzi che abbiamo a disposizione.
Da quando ho iniziato a riflettere sull’anima, la mia vita è notevolmente migliorata.
Quindi, anche se un giorno scoprissi che le cose non stanno proprio così come credo – cosa che, in questa dimensione, ci succede tutto il tempo – potrò comunque dire che questa mia immaginazione intorno all’anima ha avuto il vantaggio di rendermi un po’ più saggia e un po’ più amorevole, il che non è un risultato disprezzabile.
Alla fine, quello che scopriamo, crediamo, inventiamo o immaginiamo serve a questo: più amore, più saggezza e una visione del mondo che restituisca alla vita un senso meno effimero.