
Perché ho chiamato il mio progetto astrologico Star Rover?
Prima di tutto perché è un nome bellissimo, che rinvia l’immagine di un vagabondare sotto o tra le stelle, un percorrere un sentiero e poi un altro, fermarsi a guardare il paesaggio (immerso nella luce lunare o sotto un sole accecante) e proseguire alla ricerca di nuovi sentieri, finché non si ha interiorizzato una parte della mappa, si sa orientarsi, si sa dove andare per trovare quello che si cerca. Ma non per questo si diventa sedentari. C’è sempre qualcosa di nuovo dietro la prossima curva: tante piccole o grandi rivelazioni. E poi si ascolta tutto il tempo la musica delle sfere…
Sì, questa è la parte idillica dell’essere una star rover, ma in realtà Star Rover è il titolo di un romanzo relativamente poco conosciuto di Jack London.
Come per Soul Scrivener, che ha come nume tutelare l’enigmatico Bartleby, anche Star Rover ha il suo personaggio letterario: Darrel.
Darrel è detenuto a San Quentin e viene a più riprese rinchiuso in una soffocante camicia di forza. Col tempo scopre che la parziale asfissia gli permette di avere delle visioni molto nitide, di viaggiare nel tempo e rivisitare frammenti di vite passate.
Mentre Bartleby è qualcuno che rinuncia totalmente alla vita, Darrel trova un’improbabile via d’uscita da un’angosciosa prigionia e gli si aprono orizzonti insospettati.
Dunque, se il soul writing è anche un modo per guarire dai no a noi stessi, il lavoro astrologico è un modo per sfuggire alla prigione di un’identificazione riduttiva con il piccolo io e un’esplorazione delle trame universali delle quali è composta la nostra vita.
Ecco cosa dice Darrel (in un modo un po’ maniacale, bisogna ammetterlo, ma, date le circostanze, molto lucido non poteva essere…):
“I trod interstellar space, exalted by the knowledge that I was bound on vast adventure, where, at the end, I would find all the cosmic formulae and have made clear to me the ultimate secret of the universe. In my hand I carried a long glass wand. It was borne in upon me that with the tip of this wand I must touch each star in passing.“
“Percorrevo lo spazio interstellare, esaltato dalla consapevolezza che ero diretto verso un’immensa avventura, dove alla fine avrei trovato tutte le formule cosmiche e mi si sarebbe chiarito il segreto ultimo dell’universo. In mano tenevo una lunga bacchetta di vetro e avevo l’obbligo assoluto di toccare con la punta della bacchetta ogni stella che incontravo al passaggio.” (traduzione mia)
Ecco, questa mi sembra una maniera gioiosamente mercuriale di guardare all’astrologia, che troppo spesso è prigioniera della tensione tra una prospettiva saturnina e una uraniana.